Le acque sacre del ninfeo romano di Capo Mulini

Le acque sacre del ninfeo romano di Capo Mulini
Antonio Tempio
LA SICILIA 
Martedì 26 Marzo 2013

L'edificio romano di nuovo visibile dopo l'opera di pulitura grazie alla sinergia tra Università etnea e Parco della Valle di Aci in cui archeologi e studenti hanno lavorato insieme

C'era una volta un tempio romano. O meglio, c'era una volta una fontana romana trasformata poi in edificio templare. Pochi lo sanno, ma la struttura è nascosta fra le case del borgo marinaro di Capo Mulini, a poca distanza da un tratto di mare anch'esso zeppo di reperti. Il monumento fu messo in luce per la prima volta nel 1952 dall'archeologo palermitano Guido Libertini, sulla base della provenienza di alcuni oggetti e di un ritratto marmoreo di Giulio Cesare. Per assurdo però da quella scoperta è cominciato un graduale abbandono: il tempio è stato presto dimenticato e una fitta vegetazione ha ricoperto i ruderi.
Negli anni Settanta sarebbe poi scattata la liberalità delle concessioni edilizie: a pochi metri dal monumento furono edificate abitazioni a più piani, triste prodotto di una soprintendenza decentrata, che negli anni passati considerava questo territorio la valvola di sfogo di palazzinari siciliani. Fino a qualche anno addietro l'edificio era in sostanza sepolto e si poteva solo intravedere fra le automobili di un parcheggio improvvisato nello spiazzo adiacente. Insomma, la storia è tutta "siciliana" e per fortuna adesso si può raccontare come episodio tragicomico. Il monumento è infatti nuovamente visibile dopo i recenti lavori di pulitura e di scavo preliminare resi possibili dalla proficua (e rara) sinergia tra la cattedra di Topografia antica dell'Università di Catania e il Servizio parco archeologico e paesaggistico della Valle dell'Aci. Incredibile a dirsi, ma tutto è avvenuto a costo zero. L'idea è nata dall'esigenza di realizzare un nuovo rilievo delle strutture messe in luce nel 1952. Questo è stato l'obiettivo dell'archeologo Edoardo Tortorici, l'ordinario dell'Ateneo catanese che per l'occasione ha coinvolto un nutrito gruppo di studenti dei corsi di laurea in Beni culturali, Lettere e Archeologia. Ragazzi che hanno così avuto modo di lavorare direttamente su un monumento antico, passando dalla teoria alla pratica in maniera veloce e naturale, com'è giusto che sia in un territorio ricco come il nostro.
Gli ultimi lavori hanno anche permesso di elaborare qualche ipotesi in più sulla storia del monumento. Se prima Libertini aveva parlato solo di un tempio romano, adesso Tortorici ipotizza una funzione più complessa. Originariamente in quel luogo sorgeva infatti una grande fontana, un ninfeo, abbellito lateralmente da nicchie ormai individuabili solo "in negativo", perché nel corso dei secoli il monumento è stato privato di colonne e soprattutto dei blocchi poi riutilizzati nelle fortificazioni portuali. A queste vicende - più o meno giustificabili nei processi del riutilizzo dell'antico - se ne legano altre, meno romantiche ma altrettanto diffuse: il rudere subì danni anche per alcune cariche esplosive, fatte brillare per limitarne l'ingombro. Del resto doveva trattarsi di una struttura davvero grande, monumentalizzata forse durante un processo di "sacralizzazione" rivolto all'intera zona, ben nota non a caso per il culto delle acque miracolose. Si tratta di una devozione sopravvissuta al paganesimo e che ha trovato fortuna fino ad epoche non molto lontane. L'edifico romano di Capo Mulini fu costruito su un minaccioso flusso lavico che sembra trasmettere il mitico contrasto di questo territorio, conteso dal fuoco e dall'acqua. Viene da pensare alla stessa aderenza col mito letterario di Aci, terribilmente pietrificato ma anche pronto a reagire, vincendo il secolare duello col vulcano etneo. Ebbene, si aggiunge oggi un nuovo monumento al parco archeologico delle Terme romane di santa Venera al Pozzo, fiore all'occhiello di un'area che potenzialmente potrebbe presto includere interamente la collina di Casalotto e soprattutto la Gazzena, la contrada che da anni chiede aiuto contro un'espansione edilizia indiscriminata e purtroppo ancora dura a morire.
Il direttore del Servizio parco archeologico, l'arch. Carmelo Distefano nel mostrare soddisfazione per i risultati conseguiti dal prof. Tortorici, fa anche ben sperare, annunciando nuovi interventi che costituiranno ancora occasione per la formazione sul campo di giovani studiosi. E in questo progetto, la sensibilità delle nuove generazioni e l'indispensabile dialogo fra le istituzioni potranno senz'altro fare la differenza nel futuro dei nostri beni culturali.

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